Ad un mese dalla scomparsa di Giovanna Bemporad, Martina Franca ha voluto dedicare una serata alla Fondazione Paolo Grassi alla poetessa che per lungo tempo è stata qui nella nostra città, l’ha conosciuta, ha contribuito al fermento culturale degli anni a cavallo tra i ‘70 e gli ‘80. La ricordiamo ancora una volta: ragazza ebrea, figlia di un avvocato della Ferrara bene, fu studentessa del liceo Galvani di Bologna. A quindici anni, dopo ventisei notti di lavoro – perché già allora aveva l’abitudine di lavorare di notte – pubblicò una traduzione in versi dell’Eneide. Allieva irregolare ma dichiarata di Leone Traverso, Carlo Izzo e Mario Praz, nonché amica di Camillo Sbarbaro, Cristina Campo, Paolo Mauri e Pier Paolo Pasolini con il quale passò il periodo della guerra nei dintorni di Casarsa, era anche la moglie del senatore Giulio Orlando, eletto nel collegio di Martina.
Dopo una lettura accorata della sua traduzione del’Odissea, a cura di Gianni Lenti, Ludovica Germinario e Lorenzo Vinci, i versi in cui Omero viene riconosciuto da Penelope hanno commosso la sala che si è lasciata andare a un lungo applauso. Dopo una breve introduzione di Gianni Lenti, che ha ricordato come avesse conosciuto Giovanna Bemporad in occasione della sua tesi di laurea in lingua e letteratura tedesca, il giornalista Pietro Andrea Annicelli ha condotto la serata alternando gli interventi di Antonio Scialpi, Domenico Blasi, di un giovanissimo Francesco Greco – che è intervenuto scusandosi per l’assenza di Elio Greco – e concedendo la parola alla professoressa Lina Mirabile, che, donna, è voluta intervenire dal pubblico per ricordare un’altra donna. Nello specifico, Lina Mirabile ha ricordato la creazione e il supporto del premio donna di Martina Franca, iniziativa per incoraggiare la parte femminile della nostra città a rivendicare un ruolo di maggiore rilievo.
Aneddoti, curiosità, racconti hanno condito la serata, che è stata segnata da forti interventi: quella di Domenico Blasi, che le è stato amico e che ha raccontato con grande vivacità e potenza evocativa i momenti in cui lui e altri ragazzi si riunivano da lei che “teneva salotto” e lo faceva nelle ore notturne. Stravaganze, forse, in cui si confermava l’eccentricità e l’unicità della figura di Giovanna Bemporad. Che ci teneva ad essere chiamata così, col suo nome, e non con il cognome o peggio come “la moglie del senatore Orlando”. Poi, inevitabili, le riflessioni e le affermazioni secche, che hanno il sapore della verità, tipiche di Nico Blasi: «Non le è stato mai perdonato da una certa intellighenzia della cultura italiana di aver sposato un democristiano di grande cultura come Giulio Orlando».
Riflessione filologia e poetica, e una certa insistenza sull’endecasillabo hanno invece caratterizzato l’intervento del poeta Giuseppe Goffredo, che ha trascinato vari versi, leggendoli con trasporto. Annicelli ha ricordato con quanta spontaneità, semplicità e tenerezza, a lui che era andato a visitarla nel 1999 per consegnarle dei libri, lei disse: «fai piano, che Giulio dorme. Sai, abbiamo un solo letto, io dormo di giorno e lui dorme di notte».
«Mi pregava di non citare mai il marito». Conferma il presidente della fondazione Paolo Grassi, ed ex sindaco di Martina Franco Punzi. «Non voleva essere ‘la moglie di’, ma Giovanna Bemporad». E per un attimo Franco Punzi pare ritornare a quelle foto che, esposte all’ingresso della Fondazione, lo ritraffono con i capelli neri e un po’ ricci consegnare i premi di poesia della città di Martina con affianco a lui Giovanna Bemporad, quella volta vestita di bianco. Già, perché lei era bicolore, dicono, vestiva sempre di bianco o di nero, con una eleganza stravagante che può permettersi solo che ha una forte personalità.
«Una tappa luminosa che la allora giovane amministrazione cercava di ottenere era il passaggio da una società agricola a qualcosa di altro», ha ricordato Punzi «Giovanna era una persona intelligente, che appoggiò la creazione del premio di poesia, del festival, di umanesimo della pietra, di nuove proposte e altre iniziative culturali». Festival che, ha voluto ricordare, è stato creato da Alessandro Caroli «e io l’ho aiutato come sindaco, ma lungi da me appropriarmi della paternità, come pensano o credono alcuni». >Ricorda, Franco Punzi, e ricorda in modo sinceramente commosso: «A conclusione del premio di poesia, che durava una settimana, in cui i poeti declamavano le loro poesie nelle scuole, c’era la cerimonia finale nel teatro Verdi. Teatro che si riempì di giovani, e non erano lì perché erano stati portati dai professori, no. No. La loro fu una presenza massiccia, una presenza partecipata, coinvolta e io come tanti altri rimanemmo stupiti. Il teatro si riempì fino al terzo ordine del palco, nel loggione. Una cosa mai vista prima». E Punzi ha anche letto delle parole che Giovanna pronunciò quella sera. Non sono parole, ma schiaffi: perché parlando del premio di poesia, lei disse, a fine anni settanta, che quella era una buona occasione per far guardare a sud, un Sud che non può essere solo siderurgia (e a quelle parole qualcuno in sala ha mormorato: “l’italsider…”), né assistenza o elemosina dello stato, ma un sud che vuole entrare a testa alta nella storia culturale italiana. «Più scuole, più università, respingiamo la barriera razzista di un sud fatto di cittadini di serie B». Un appello che, letto negli anni in cui non c’era la Lega, non si parlava ancora del problema Ilva, in cui l’assistenzialismo pareva essere la via maestra degli investimenti nel Mezzogiorno forse non fu capito. O forse siamo noi oggi a comprenderlo e a vederlo con occhi diversi.

Daniele Milazzo

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