Ci sono delle storie che denotano un certo coraggio, questa settimana ne abbiamo scelta una che, apparentemente, sembra riguardare una squadra di calcio di una cittadina di provincia.  In realtà potremmo cambiare quella maglia con i colori di qualsiasi altra città o squadra. Mentre scrivo mi vengono in mente tante similitudini, in particolare con una poesia di Alessandro Manzoni che tutti abbiamo imparato a memoria sui banchi di scuola: Il 5 Maggio. L’ode a Napoleone fu scritta il 5 maggio del 1821 appena lo scrittore seppe della morte dell’imperatore. Fin da ragazzo mi colpì quella strofa: lui folgorante in solio vide il mio genio e tacque quando, con vece assidua, cadde, risorse e giacque. E’ una delle poche poesie che ricordo a memoria. Ma torniamo alla similitudine. Il Martina Calcio nella sua storia è caduto più volte ed è sempre risorto. La morte, fortunatamente, il fato l’ha sempre evitata. E’ stata sempre e sola apparente. I miei ricordi di bambino vanno ad una vittoria epica con il Trani con una popolazione intera che simulò, una domenica sera, la goliardica morte dell’avversario sportivo, rappresentata in quella occasione, da una bara che fece il giro della città. Fu in quel preciso momento che iniziò l’amore che si tramutò successivamente in passione, per quei colori e per quella squadra. Ricordo l’allora presidente Benito Settimo Semeraro, un grande uomo nonostante la sua statura minuta, con il suo accento che era un miscuglio di inflessioni dialettali, ma che aveva la capacità di coinvolgerti e rimanerne ammirato. Ero ragazzino ed andavo spesso nella tappezzeria di mio padre in Corso Italia e mi è rimasto in mente quando lo stesso presidente si faceva il giro personalmente delle aziende locali per distribuire gli abbonamenti. Quel presidente portò il Martina in serie C (allora era una serie B di oggi). Divenni amico di quell’uomo quando diventai più grande ed iniziai a fare il cronista sportivo. Spesso mi chiamava nel suo studio e mi tratteneva ore e ore per raccontarmi degli aneddoti di quando era il presidente del Martina. Gli era rimasto nel cuore fino alla sua morte. Più volte si parlava di un suo ritorno, ogni qual volta c’era una crisi e forse, qualche volta ci avrà pure pensato. Ricordo a memoria i nomi di quei giocatori che riuscirono nell’impresa, così come ricordo i nomi di quei calciatori che disputarono il campionato semiprofessionistico. Dopo la retrocessione il Martina sembrò morire definitivamente, ma ecco che un gruppo piuttosto numeroso di imprenditori e professionisti riuscì a farlo rinascere. Il presidente era Vito Torrente. Il Martina ritornò a scalare i campionati. Di quei tempi ricordo Giovanni Muschio Schiavone con la sua grande passione che quando ti incontrava ti teneva un’ora a parlare di calcio e non ti lasciava più andare o quando organizzava a proprie spese dei pullman per delle partite decisive. E venne l’era di Franco Marangi. Il commerciante di strumenti musicali fu il primo a dare una vera svolta organizzativa alla società e riuscì a riportare la squadra tra i professionisti, forse quando meno se lo aspettava. Il ritorno in Serie C vide la ribalta di un altro presidente, Pino Dell’Erba. L’imprenditore, da solo e senza mega cordate, con una grande passione è stato tra quelli che ha messo più denaro, a quei tempi, per la squadra di calcio. La fortuna non gli fu amica e, nonostante la sua innegabile passione il Martina tornò tra le ceneri. Si ricominciò daccapo con un altro imprenditore, Giustino Caroli. Si deve a lui se la squadra non scomparì dalla scena calcistica. Giustino era un grande tifoso e forse pagò in quegli anni la sua grande passione. Fu un presidente competente di calcio, dovendolo paragonare con uno di oggi lo farei con Massimo Ferrero della Sampdoria. Spesso l’essere tifoso di una squadra non collima con il ruolo di presidente. Di lui si ricordano purtroppo i tira e molla di ogni fine campionato se lasciare o meno. La rinascita del Martina avvenne con la più grande cordata di imprenditori che l’Avvocato Gianfranco Chiarelli riuscì a mettere insieme e, in qualche modo, ci fu il mio zampino in quanto fui proprio io a prospettare all’avvocato martinese la possibilità di entrare nel calcio. Ricordo ancora la ‘parolaccia’ che mi disse la prima volta che glie ne parlai. E’ stato il periodo calcistico più blasonato che la squadra del Martina abbia mai vissuto e ha visto il Tursi che oggi vorrebbero ridurre ad area di baracche, scarti di verdure del dopo mercato ambulante, urla di piazzisti e venditori sostituirsi ad incitamenti di tifosi, ospitare squadre come il Napoli, il Sassuolo, il Frosinone, il Crotone e solo una ennesima crisi societaria impedire alla Juventus di disputare una partita di Coppa Italia nello Stadio Giuseppe Domenico Tursi di Martina Franca (si giocò a Bari)

Ma, ancora una volta il Martina ricadde nella polvere. Tutto d’accapo. Questa volta un altro avvocato, Donato Antonio Muschio Schiavone a prendere la squadra dall’ultima categoria a riportarla tra i professionisti. Una cavalcata epica ed avvincente, insieme ad un gruppo di nuovi imprenditori, ma che dovette fare i conti non solo con una crisi economica devastante e simile forse a quella del 1929 che ne ha frenato la durata, ma anche ad una nuova amministrazione che si è messa di traverso fin dal primo momento. E’ stata proprio questa, con alcune sue decisioni a darle il colpo di grazia.

Una ennesima fine, questa volta con la convinzione che Napoleone fosse morto per davvero e mai più sarebbe risorto. Ma può la logica avere la meglio su un sentimento che si chiama passione? Provate a dare una definizione a questa parola. E’ difficile. Un gruppo di tifosi, quelli che vivono e mangiano calcio; che rinunciano alle domeniche attorno ad un tavolo con la famiglia; quelli che contano i giorni e le ore che li separano dalla partita successiva; quelli che il lunedì riconosci perché sono sempre senza voce; quelli che riescono a superare le avversità del vivere quotidiano, della crisi economica, dell’aumento della TARI, TASI, o l’aggiungersi delle cartelle di Equitalia; Ebbene quel un gruppo che, guarda caso, ricorda un’altra epica vicenda, quella dei mille di Garibaldi, guidato da un altro giovane imprenditore, Piero Lacarbonara, riesce ad inventare un’altra storia. Il calcio a Martina è rinato, nonostante molti imprenditori ne hanno preso purtroppo le distanze o adducendo la classica frase: “Basta con il calcio, non ne voglio più sapere”. Il calcio è passione, la squadra di calcio della propria città è un antibiotico per la sopravvivenza. Farne a meno, per molti, potrebbe significare morire. La storia del Martina che oggi forse leggeranno su questo giornale a Bari, come a Taranto, a Foggia, a Lecce e a Brindisi, è uguale ad ogni altra città. Cambiano solo i nomi dei protagonisti. Oggi l’aggregazione vera non è quella su una piattaforma social. Le piazze sono completamente vuote e la cecità di alcuni amministratori vorrebbe crearne altre, insieme a parcheggi deserti. Ho cercato di ricordare la mia storia legata alla squadra della mia città, ma ho tralasciato alla fine alcuni protagonisti che non sono presidenti, giocatori, ma volti del passato che mi tornano in mente. Molti di questi purtroppo non esistono più. Mi rimarranno sempre in mente per la loro esultanza sfrenata. Gente che ha vissuto la propria vita con tante difficoltà, grazie a quell’appuntamento della domenica pomeriggio. Gioie che condividevamo guardando gente comune gioire per un gol o una vittoria e scatenava un abbraccio anche se non ci si conosceva. Provavo una grande emozione guardando quei volti, più di quanto ne provassi per un giocatore che esultava dopo aver segnato un gol. In questi miei ricordi ci sono Giuseppe Domenico Tursi, Scipione Tortella, Battista Barratta, Franco Zaurino, Don Pierino Marinosci, Diego Scialpi e a tanti altri dei quali, i miei vuoti di memoria, non riescono a farmi ricordare i loro nomi ma che ho nel mio cuore, un tempo quello di bambino. Il Tursi non può essere demolito per alcun motivo, non si possono distruggere i ricordi. E’ questione di cuore, ma bisogna averlo per capirlo.

Antonio Rubino

 

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