La Fondazione Paolo Grassi da anni apre anche a generi musicali differenti dalla musica classica, con workshop riguardanti la musica jazz, ad esempio, ed anche la musica rock, più vicina ai gusti dei giovani. E lo fa  invitando professionisti di altissimo livello. Tra i tanti si ricorda Riccardo Bertoncelli, critico musicale, una sorta di “guru” della critica musicale, più volte già presente a Martina con iniziative di spessore. E Bertoncelli tornerà nel nostro paese il 19 e 20 maggio alle ore 19,00 per parlare questa volta del legame esistente tra “cinema e rock”. Un appuntamento da non perdere, quindi. Per gli appassionati e non solo: anche per coloro che amano la settima arte la quale, indissolubilmente, è legata alla musica pop.

Bertoncelli (per chi non avesse capito la “portata” dell’iniziativa) è l’inventore della critica musicale e della storiografia del rock in Italia. Particolarmente attivo già dagli anni Settanta, ha collaborato con le neonate radio libere e con riviste specializzate come Muzak e Gong, di cui è stato fondatore. A 17 anni ha fondato la sua prima fanzine e nel ‘73 ha pubblicato il primo libro italiano sulla musica che stava contagiando le giovani generazioni (“Pop story”). Nel 1980 è stato direttore di Musica 80 e con Franco Bolelli ha curato l’Almanacco Musica per Il Formichiere. Dal 1995 collabora con la Editrice Giunti, curando la collana Bizarre dedicata alla musica. Oggi Bertoncelli è ancora uno dei più noti scrittori e critici musicali e ha al suo attivo esperienze radiofoniche e collaborazioni con Linus, Repubblica, Max e Rockerilla.

In due lezioni articolate di storie, commenti ed esempi video si racconterà la nascita di questo fondamentale genere (“rock movie”), a cominciare dalle pellicole degli anni ’50 che tanta influenza ebbero sul costume sociale e sullo sviluppo del “soggetto giovanile”. Da “Il seme della violenza” ai musicarelli di Elvis, fino al più raffinato esempio di Richard Lester con i Beatles: e poi i grandi documentari rock, “Woodstock” su tutti, l’affermarsi di veri specialisti del genere (Don Pennebaker soprattutto) e l’infatuazione di grandi registi per la cultura e le tematiche rock (Jean-Luc Godard e i Rolling Stones, Antonioni con “Blow Up” e “Zabriskie Point”). Fino ad arrivare al rock movie “Pink Floyd a Pompei” di Adrian Maben, una storia straordinaria oltre che una grande intuizione filmica.

“Per rock movie si intende un filone cinematografico nato nella seconda metà degli anni Cinquanta insieme al rock and roll, che nel film ha una funzione determinante in rapporto al soggetto, alla trama e ai protagonisti. I temi sono quelli cari alla mitologia di questo genere musicale: la maledizione della rockstar, l’utopia dei grandi festival a base di musica, pace e amore, le vite leggendarie di gruppi e personaggi della ‘musica elettrica’ (Elvis Presley, Beatles, Rolling Stones, Jimi Hendrix, Bob Dylan). Le forme sono invece assai più variabili e oscillano tra i poli estremi del documentario e del film di finzione, con frequenti sovrapposizioni ad altri filoni o generi, in particolare con il road movie e lo young movie. Nonostante sia stato spesso sottovalutato dalla critica, il rock movie ha svolto un ruolo significativo non solo nella storia del cinema ma anche in quella del costume, in quanto ha segnato la nascita di una nuova figura sociale, il teenager, di cui nel corso di cinquant’anni ha registrato, e in parte influenzato, le trasformazioni, sfruttando sempre come rumorosa ma sensibilissima ‘cassa di risonanza’ il rock and roll”(Giandomenico Curi, voce “Rock movie” su Enciclopedia Treccani).

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