Occorre una evoluzione in senso ambientalista. Non si regge il mercato, non si regge la tutela ambientale: il sistema-Ilva è finito. Questo il senso del dossier diffuso oggi in una conferenza stampa a Taranto dall’associazione Peacelink (associazione guidata da Alessandro Marescotti) sul tema dell’Ilva. Di seguito il dossier:

1) Scenario mondiale con eccesso di capacità produttiva

 

Il 28 novembre 2012 un’analisi del Wall Street Journal ha evidenziato a livello mondiale un eccesso di capacità produttiva nel settore siderurgico: si produce più acciaio di quanto il mercato ne richieda.

 

 

Oggi nel mondo dagli impianti siderurgici ogni anno si possono ottenere 1,8 miliardi di tonnellate, mentre se ne consumano solo 1,5. John Miller sul Wall Street Journal avverte che la capacità produttiva è enorme e continua ad aumentare. “Il bilancio sarà ancor più squilibrato nei prossimi anni”, sottolinea Roberto Capezzuoli nell’articolo dal titolo “Il mondo dell’acciaio ha un problema, l’eccesso di capacità produttiva”.

 

Fonte: http://www.firstonline.info/a/2012/11/28/il-mondo-dellacciaio-ha-un-problema-leccesso-di-ca/45b00cb4-4c58-49f5-9cf8-ceb6aa7ae66f

 

 

 

2) Acciaio, la depressione dei prezzi a livello mondiale

 

 

L’eccesso di capacità produttiva ha avuto effetti depressivi sui prezzi di mercato. Roberto Capezzuoli porta dati eloquenti: “Dall’inizio del 2008 ad oggi, negli Usa, i prezzi dei coils laminati a caldo hanno perso il 35%, arrivando a 636 dollari per tonnellata. Ne ha fatto le spese la RG Steel, il quarto gruppo siderurgico statunitense, che ha dichiarato bancarotta e ha fermato impianti la cui capacità è di 7,5 milioni di tonnellate annue”.

 

Fonte: http://www.firstonline.info/a/2012/11/28/il-mondo-dellacciaio-ha-un-problema-leccesso-di-ca/45b00cb4-4c58-49f5-9cf8-ceb6aa7ae66f

 

 

I coils sono lamiere di acciaio arrotolate in bobine, e l’Ilva è un grande produttore di coils. 

 

 

Nubi nere dunque in America. Ma in Europa le cose vanno ancor peggio. Infatti i costi dell’energia sono superiori a quelli degli Stati Uniti e nella siderurgia l’energia è uno dei costi che incide di più. 

 

 

 

3) Europa:  eccesso di offerta

 

 

Inoltre l’Europa presenta un eccesso di capacità produttiva di 80 milioni di tonnellate/anno (dentro le quali sono contemplati i 10 milioni di tonnellate/anno dell’Ilva), come ammette la Commissione Europea. 

 

 

Fonte: http://www.europarlamento24.eu/acciaio-ue-vara-piano-per-contrastare-crisi-e-concorrenza-sleale/0,1254,72_ART_3261,00.html

 

 

 

4) Dipendenza dai paesi estrattori e dal “super-ciclo” delle materie prime

 

 

Il bilancio negativo non finisce qui: ad aggravare la situazione della siderurgia italiana ed europea è l’aumento del costo delle materie prime: il prezzo del minerale di ferro, la materia prima del ciclo siderurgico, è schizzato alle stelle con un +65% nel febbraio di quest’anno. Il rallentamento della domanda globale di acciaio ha fatto scendere il prezzo del minerale di ferro che a maggio sembra essersi stabilizzato, ma esso è comunque soggetto alle sollecitazioni al rialzo dovute alla forte richiesta della Cina.

 

Pertanto quando si dice che la siderurgia garantisce all’Italia l’indipendenza economica si dice una cosa non vera. Il minerale di ferro è presente soprattutto in Brasile e Australia e l’Italia è fortemente dipendente da queste nazioni per le materie prime della propria produzione siderurgica. Anche le quotazioni del rottame di ferro sono fortemente correlate al prezzo del minerale di ferro, che non è distribuito nel pianeta in modo omogeneo e che è comunque una risorsa destinata a esaurirsi.

 

Fonte: http://economistiinvisibili.investireoggi.it/le-commodities-il-minerale-di-ferro-17798330.html

 

 

Sull’esaurimento dei giacimenti di ferro è aperto un dibattito.

 

Alcuni studiosi, comeLester Brown del World-Watch Institute, sono pessimisti e si aspettano che le riserve di ferro dureranno solamente altri 64 anni, mentre altre fonti credono che sulla terra ci siano ancora 270 miliardi di tonnellate di minerali sfruttabili, una quantità tale da garantire il consumo per più di un secolo. Anche se è un tema che toccherà le generazioni future, più che la nostra, una domanda appare lecita: che succederà al mondo quando finirà il ferro?”

 

Fonte: http://www.metallirari.com/il-super-ciclo-delle-materie-prime-e-finito/

 

 

In ogni caso c’è il problema di una crescita incessante della richiesta di un minerale che è destinato a esaurirsi. Il “super-ciclo” delle materia prime (ossia la tendenza delle materie prime come il ferro a diventare merce sempre più preziosa) non si è esaurito.

 

Fonte: http://www.borsainside.com/mercati_usa/2013/04/44820-il-superciclo-delle-materie-prime-e-ancora-lontano-dallesaurirsi.shtm

 

 

Ciò costituisce una grossa incognita per la siderurgia, destinata ad alzare i prezzi dei fattori produttivi e a ridurre i profitti a fronte di una richiesta di acciaio non più sostenuta che quindi deprime i prezzi alla vendita.

 

 

Ma come mai sale il prezzo delle materie prime se il Italia e in Europa la domanda di acciao scende? La risposta è purtroppo questo: il prezzo del minerale di ferro è trascinato in alto dalla crescente domanda dei mercati asiatici,  forse anche da accordi di cartello. 

 

(http://www.eurosiderscalo.com/it/archivio-news/archivio-news/30-news-2013/892-pechino-accusa-i-produttori-di-minerali-di-ferro-gonfiati-ad-arte-i-prezzi)

 

 

 

5) Riduzione dei profitti

 

 

Il trend complessivo di aumento dei costi delle materie prime non viene trasferito sui prezzi di vendita dei prodotti finiti che – come abbiamo visto – si deprimono per l’eccesso di offerta rispetto alla domanda di mercato. Dove si scarica allora l’aumento dei prezzi delle materie prime? Semplice: sui profitti. La siderurgia perde quindi profitti e non è più una gallina dalle uova d’oro che Riva aveva fatto razzolare nel suo cortile tarantino.

 

 

Ora c’è crisi e si scopre che Riva aveva fatto male i conti ad esempio raddoppiando l’attività di zincatura a caldo a Taranto. (http://www.tarantosociale.org/tarantosociale/docs/2271.pdf)

 

 

 

6) “Situazione insostenibile dello zincato a caldo”

 

 

Jean-Luc Maurange, vicepresidente di ArcelorMittal al 28° Steel Market Outlook ammette la difficoltà generata dall’eccesso di capacità produttiva: “Il riallineamento tra produzione e consumo non si è ancora concluso, specialmente in Europa meridionale, dove la capacità produttiva era aumentata maggiormente ed il consumo è calato in misura superiore”. Per esemplificare questa difficile situazione, Maurange ha citato la situazione dello zincato a caldo in Italia: mentre nel 2008 la domanda interna era di 3,2 milioni di tonnellate e la capacità produttiva installata di 4,4 milioni di tonnellate, nel 2012 il consumo è sceso sotto i 3 milioni di tonnellate e la capacità è schizzata a 6,3 milioni di tonnellate, “una situazione industrialmente insostenibile”.

 

(http://www.siderweb.com/upload/doc_news/smo_maggio_2013.pdf)

 

 

 

7) Crisi epocale: chiudono gli altiforni

 

 

La siderurgia attraversa quindi una crisi epocale perché la società non chiede tutto l’acciaio che viene prodotto, ragion per cui un colosso come ArcelorMittal, per esempio, nel 2008 aveva in funzione in Europa 28 altiforni, oggi ne ha 18. 

 

(http://www.siderweb.com/upload/doc_news/smo_maggio_2013.pdf)

 

 

 

8) Europa destinata ad uscire dalla produzione di acciaio a basso valore aggiunto

 

 

Il Portale della Siderurgia Siderweb sottolinea “l’impossibilità futura per l’Europa di rimanere un produttore di commodity“. 

 

 

Commodity è un termine inglese che indica un bene (ad esempio l’acciaio grezzo) che si acquista indipendentemente da chi lo produce ed è l’equivalente in italiano di “bene indifferenziato” ad elevata standardizzazione.

 

(http://it.wikipedia.org/wiki/Commodity)

 

 

Maurange trae conclusioni drastiche: “Non vedo un futuro per i produttori di acciaio europei concentrati solo sui mercati a basso valore aggiunto”. Ed è proprio questo il settore di mercato su cui è posizionata l’Ilva attuale. L’Ilva pertanto avverte tutto il peso della crisi attuale. L’economista Marcello De Cecco avverte: “L’industria italiana dell’acciaio rischia di fare la fine di quella della chimica di base”. La situazione della siderurgia italiana è quindi di grave difficoltà: “Il fermarsi della domanda di prodotti siderurgici nel mondo – prosegue De Cecco – è stato abbastanza improvviso, per il persistere del boom asiatico e specie cinese, dopo l’arrivo della crisi. Ma in Europa la domanda di prodotti siderurgici ha ristagnato sin dall’inizio della crisi, e la capacità di mantenere posizioni da parte dei produttori siderurgici italiani, come d’altronde di quelli tedeschi, è dipesa in maniera essenziale dalla loro capacità di esportare in quelle parti del mondo, i paesi emergenti, dove la crisi ha colpito assai meno. Fino al 2012 hanno mostrato di riuscirci, ma alla fine dell’anno scorso anche quello sbocco ha mostrato segni seri di esaurimento. E la tendenza si è fatta più chiara e grave nei primi mesi di quest’anno. La crisi del principale produttore italiano, l’Ilva, che domina il nostro mercato e si colloca in buona posizione anche a livello mondiale, ha dunque coinciso con quella della siderurgia mondiale”.

 

(http://www.repubblica.it/economia/affari-e-finanza/2013/06/03/news/crac_ilva_unaltra_montedison_il_peccato_capitale_dei_riva_zero_investimenti_e_prodotti_low-cost-60229058)

 

 

 

9) Crisi dell’acciaio: reggerà chi ha investito in innovazione

 

 

Quindi che fare di fronte a questa crisi siderurgica che attanaglia l’Ilva, l’Italia e l’Europa?

 

 

La prima risposta è quella di posizionarsi – come hanno le aziende tedesche – su settori innovativi della siderurgia, producendo ad esempio non solo acciaio ma anche tecnologie che risparmino energia e riducano l’impatto ambientale. Un esempio è la Siemens Metal Technologies, leader mondiale nella progettazione e costruzione di impianti siderurgici. Ma l’Italia non ha puntato su questo modello di siderurgia, ha basato solo a produrre e non a investire nell’innovazione e ora è in grave crisi. Il recente piano europeo dell’acciaio fa capire che o il settore si innova o altrimenti non può vivere di semplice speranza e di antiche glorie.

 

 

 

10) Il vantaggio competitivo dell’Ilva e la stagnazione della domanda

 

 

Il vantaggio competitivo dell’Ilva sul mercato internazionale – specie in questi ultimi anni di rincaro dell’energia in Europa – si è basato sul ciclo integrale che – mentre produce ghisa negli altoforni – contemporaneamente garantisce energia a costi irrisori a tutto lo stabilimento, in quanto produce quel gas AFO che viene immesso nella rete di stabilimento per un auto consumo, mentre la restante parte viene recuperata tramite le centrali termoelettriche CET2 e CET3 di proprietà dell’Ilva. Anche il gas sprigionato nel processo produttivo delle cokerie viene oggi riutilizzato in quanto è principalmente costituito da idrogeno, metano, ossido di carbonio, biossido di carbonio, azoto, ossigeno, idrocarburi, ammoniaca e idrogeno solforato: dopo essere stato trattato viene utilizzato nelle varie utenze termiche di stabilimento. Qui sta dunque il vero asso nella manica del più grande stabilimento siderurgico d’Europa che può auto-prodursi l’energia in un momento in cui le altre acciaierie italiane ed europee dotate di forni elettrici devono pagare – a caro prezzo – quell’energia che incide per il 40% sui costi di produzione dell’acciaio. 

 

Ma Ilva – cresciuta come gigante europeo – si scontra con una stagnazione della domanda che è ormai non più contingente ma strutturale in Italia e in Europa, cosa riconosciuta anche da Federacciai.che parla – per bocca del presidente Antonio Gozzi – di “scenari di ulteriore contrazione dell’economia nell’anno in corso”. (http://www.steelorbis.it/notizie/notizie/federacciai-i-dati-sulla-produzione-siderurgica-e-le-considerazioni-del-presidente-gozzi-738323.htm)

 

 

Ed ecco allora che Ilva si rivela, in questa mutata situazione del mercato, come un gigante pieno di energia che rimane imprigionato in una stanzetta angusta.

 

 

 

11) Migrare in Cina? Impossibile

 

 

Che fare dunque?La risposta può sembrare semplice e ovvia: si potrebbe migrare in Cina.

 

Ma la Cina ha veramente bisogno dei dieci milioni annui di acciaio dell’Ilva?

 

La Commissione Europea stima che dei circa 542 milioni di tonnellate di acciaio annuo “in più” di capacità produttiva mondiale, ben 200 milioni di “overcapacity” sono sono proprio in Cina. In altri termini: la Cina non saprebbe che farsene dell’acciaio dell’Ilva. I 10 milioni di tonnellate/anno di capacità produttiva supplementare consentita dagli impianti dell’Ilva infatti aggraverebbero ulteriormente quella che in gergo tecnico viene definita “overcapacity”: “Ability to produce more than is needed”, ossia la capacità di produrre più di quanto è necessario.La Cina – se si caricasse sulle spalle anche l’Ilva – passerebbe da 200 a 210 tonnellate/anno di overcapacity, nel campo siderurgico. E dunque ecco che lo scenario di un’Ilva che migra in Cina crolla.

 

 

 

12)Cura dimagrante per le acciaierie cinesi?Figuriamoci per l’Ilva

 

 

Già nel 2010 la Cina ha preso in considerazione una “cura dimagrante” per la siderurgia. (http://www.steelorbis.it/notizie/notizie/cina-alle-viste-un-ridimensionamento-degli-output-siderurgici-541950.htm)

 

 

Questione ripresa l’anno successivo in quanto – come osserva il Sole 24 Ore – quello siderurgico cinese è un“settore afflitto da anni da un eccesso di capacità produttiva”. (Fonte: http://24o.it/Vj5Qe)

 

 

E finalmente il nodo è arrivato al pettine: la Cina si prende dai 5 ai dieci anni di tempo per tagliare la propria capacità produttiva nel settore dell’acciaio. La notizia è recente ed è emersa nel diciassettesimo Shanghai Metallurgy Expo. (http://www.scrapregister.com/news/815/china-to-takes-5-to-10-years-to-fix-steel-overcapacity-xu-kuangdi)

 

 

La Cina non potrebbe quindi accogliere quindi impianti in fuga da Taranto.

 

 

Tutte le voci di “fuga all’estero” dell’Ilva o dei Riva sono destituite di ogni fondamento economico in quanto a livello mondiale l’eccesso di capacità produttiva di acciaio rende saturo il mercato mondiale.

 

 

 

13) L’effetto della crisi del mercato siderurgico sull’Ilva

 

 

Gli effetti della crisi sono evidenti. RIMANGONO IN FUNZIONE 2 ALTIFORNI SU 5. Col blocco dell’altoforno 2, l’Ilva di Taranto marcerà solo con due altiforni, essendo l’altoforno 1 già stato fermato l’8 dicembre scorso mentre l’altoforno 3 è inattivo da molto tempo. Restano quindi in funzione gli altiforni 4 e 5. Fermata anche l’acciaieria 1, è in funzione solo la 2. Ferme le batterie 3-4-5-6 e 9 della cokeria. Ferma una parte della produzione dell’agglomerato. Fermo il treno nastri 1.

 

Fonte: http://www.agi.it/economia/notizie/201306301355-eco-rt10051-ilva_domani_stop_altoforno_2_per_crisi_mercato_siderurgico

 

 

Le ragioni di questa crisi non sono congiunturali ma strutturali e gli effetti sono destinati ad aggravarsi nei prossimi mesi.

 

 

 

14) I debiti dell’Ilva

 

 

Le dinamiche economiche e finanziarie più recenti pongono quindi un grave problema di sostenibilità degli investimenti chiesti per ottemperare alle prescrizioni dell’AIA, che pongono sulle spalle dell’ILVA uno sforzo economico calcolato in circa 3,5 miliardi di euro. Tali investimenti, che dovranno concludersi entro il 2016, rappresentano il 76% di tutti gli investimenti che l’ILVA ha effettuato nello stabilimento di Taranto dal 1995 al 2011. Si tratta di un impegno onerosissimo, difficilmente sostenibile con le sole risorse finanziare della Società e del Gruppo.

 

Lo sostiene Siderweb, il portale della Siderurgia (http://lists.peacelink.it/news/2012/12/msg00016.html).

 

I debiti finanziari dell’Ilva sono aumentati soprattutto nell’ultimo quadriennio (da 1,8 a 2,9 miliardi) a causa della riduzione dei flussi di cassa provocata dai risultati negativi della gestione industriale (-805 milioni di euro). Queste le conclusioni di Siderweb all’11.12.2012: “Alla fine del periodo considerato i debiti finanziari della società salirebbero a 4.500 (50% degli investimenti finanziati con prestiti), 6.200 miliardi di euro (100% degli investimenti finanziati con prestiti), mentre il patrimonio diminuirebbe per far fronte alle perdite d’esercizio provocate dal peggioramento dei risultati della gestione industriale e dai maggiori oneri
finanziari. In assenza di un consistente aumento di capitale la società registrerebbe una significativa conIn conclusione, senza un intervento dello Stato per alleggerire gli oneri connessi agli investimenti che l’ILVA dovrà sostenere nei prossimi anni e/o un apporto di capitali freschi da parte dei soci attuali o altri che potrebbero entrare nella compagine azionaria,
la prosecuzione dell’attività dell’ILVA nel medio periodo appare molto difficile”.

 

 

 

15) Che fare? Riconvertire per garantire i lavoratori

 

 

E l’unica prospettiva, dunque, è quella di includere Taranto – come Trieste – in un piano di riconversione industriale, utilizzando l’articolo 27 del Decreto Sviluppo 2012 (“Misure per la crescita sostenibile”).

 

(http://www.altalex.com/index.php?idnot=18726#t3c1)

 

L’articolo 27 recita:

 

Riordino della disciplina in materia di riconversione e riqualificazione produttiva di aree di crisi industriale complessa

 

Nel quadro della strategia europea per la crescita, al fine di sostenere la competitività del sistema produttivo nazionale, l’attrazione di nuovi investimenti nonché la salvaguardia dei livelli occupazionali nei casi di situazioni di crisi industriali complesse con impatto significativo sulla politica industriale nazionale, il Ministero dello sviluppo economico adotta Progetti di riconversione e riqualificazione industriale. 

 

 

La questione è certamente complessa. Ma visto che la crisi dell’Ilva sembra irreversibile, in un quadro gravato da una forte “overcapacity”, il nodo della riconversione è la questione chiave. Se non affrontata con anticipo e con competenza, rischia di essere un’occasione perduta per chi ha veramente a cuore la sorte dei lavoratori dell’Ilva e della siderurgia italiana.

 

 

16) Occorre avviare le bonifiche e progettare per Taranto le eco-alternative

 

 

Occorre una rivoluzione copernicana. Sostituiamo lavori dannosi con altri che non lo siano.

 

 

Condividiamo la posizione del dott. Valerio Gennaro (epidemiologo): “I 500 euro a testa che spendiamo ogni anno in Italia per le spese militari – siamo circa 60 milioni – potrebbero essere tranquillamente, urgentemente e opportunamente riconvertiti per le spese sociali, civili, ambientali. Abbiamo ricchezza. Continuare a dire che siamo poveri è un depistaggio, siamo tra i paesi più ricchi del mondo ma usiamo malissimo le nostre ricchezze. Se l’obiettivo è di impossessarci delle ricchezze altrui, allora servono le spese militari. Dobbiamo partire dai bisogni e cominciare a pretendere di conoscerli meglio, avremo così un’indicazione su cosa dobbiamo e cosa dobbiamo smettere di fare. Occorre che la comunità riprenda fiducia nella possibilità e nell’opportunità di partecipare alla costruzione del proprio destino”.

 

 

Per cambiare Taranto occorrono persone creative, preparate e oneste. Una rivoluzione culturale dal basso. Perché da chi ci governa non ci possiamo aspettare nulla.

 

 

I giovani laureati sono il vero motore di Taranto e occorrerebbe una “chiamata a raccolta” di tutti i giovani tarantini che si sono laureati in altre città italiane o che hanno fatto anche esperienze all’estero.

 

 

TINA: There Is No Alternative. Vogliono convincerci che non ci sono alternative. Noi dobbiamo batterci per studiarle e realizzarle. A partire dalle ecoalternative che i nostri giovani laureati hanno già studiato con le tesi di laurea o che possono studiare con le prossime tesi di laurea.

 

 

ECOALTERNATIVE SECONDO L’ONU. Lo sviluppo sostenibile non distrugge ma crea milioni di posti di lavoro. La Green Economy può creare fino a 60 milioni di nuovi posti di lavoro nei prossimi 20 anni. Ma occorre una politica economica e formativa. PeaceLink da un anno ha messo online il documento dell’ILO, l’agenzia dell’Onu che si occupa di lavoro

 

Scaricatelo da qui: http://www.peacelink.it/ecologia/a/36349.html

 

 

ECOALTERNATIVE SECONDO L’OCSE. Ecco una delle cose che diremo nel convegno del 2 luglio. Le città possono generare crescita economica e lavoro semplicemente diventando più rispettose dell’ambiente. A spiegarlo è un rapporto dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse), intitolato Green Growth in Cities.

 

Scaricatelo da qui: http://www.oecd.org/gov/regional-policy/49330120.pdf

 

 

Per queste ragioni abbiamo deciso di promuovere il convegno di domani, 2 luglio, alle ore 15 nella Facoltà di Giurisprudenza di Taranto (Città Vecchia):

 

 

DESCRIZIONE DEL CONVEGNO “TESI SU TARANTO”

 

http://www.peacelink.it/ecologia/a/38682.html

 

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