Folla delle grandi occasioni: a gremire la sala consiliare di Palazzo Ducale tantissime persone, autorità civili e religiose, militari, politiche, tutti per assistere e ascoltare le parole di un ministro della Repubblica e di un ex presidente della Camera. A togliere il grigiore istituzionale che spesso accompagna queste manifestazioni hanno contribuito involontariamente i due esponenti, gli unici della platea di autorità non in giacca e cravatta, ma con un semplice maglione, come lo stesso Violante ha voluto far notare all’inizio del suo discorso.

Moderatore dell’incontro è stato il direttore della gazzetta del Mezzogiorno, Giuseppe De Tomaso, che ha saputo intrattenere con simpatia il pubblico e i due esponenti, riservandosi delle domande finali su temi di politica e attualità. Organizzatore dello stesso, invece, il rettore della Basilica di San Martino, che ha pensato a questo momento di riflessione come una continuazione ideale dell’attenzione degli abitanti alla propria città e al santo patrono nel duecentocinquantesimo anniversario dell’inaugurazione della “nuova” collegiata di San Martino, avvenuta con Isidoro Chirulli nel 1763.

Il tema dell’incontro è passato lentamente dalle disquisizioni ragionate sulle riforme istituzionali e costituzionali possibili alla politica “bassa”, quella delle intercettazioni, delle possibili crisi di governo, che ha ispirato entrambi gli ospiti a parlare di moralizzazione della vita pubblica in generale – dei giornalisti, dei magistrati, dei politici – allontanandosi dal tema centrale.

Punto di partenza dei discorsi di entrambi è stato il 1948. «In quel periodo» ha ricordato per primo il ministro Quagliariello «mentre l’assemblea costituente cercava accordi per i singoli articoli, è scoppiata la guerra fredda che ha diviso in due il mondo; l’Italia versava in condizioni disastrose per una guerra che aveva perso, per una resa incondizionata che aveva firmato, aveva conosciuto la fame: tutte condizioni che comparate alla crisi di oggi fanno sorridere». Il ministro però non intende sottovalutare la crisi, anzi: «la nostra crisi ha modificato lo scenario più di una guerra novecentesca», ha affermato, ricordando come i cambiamenti si susseguono sempre e non bisogna lasciarsi né travolgere dagli eventi né sbigottirsi di fronte alle difficoltà. Il suo punto di vista nasce da una considerazione: il compromesso è necessario per la pacifica convivenza delle varie forze politiche. La nostra costituzione, ha ricordato, è servita nella cosiddetta Prima Repubblica a limitare i poteri dei governi o dei vincitori delle elezioni perché avrebbero potuto essere, nel 1948, sia i comunisti che i cattolici. Adesso, però, la situazione è differente, per cui non c’è la necessità di avere due camere con poteri uguali, né circa mille parlamentari, e tanto meno dei conflitti di competenze tra legislazioni regionali e nazionali, conflitti che spesso schiacciano le imprese che attendono pareri dalla corte costituzionale per sapere cosa devono fare con la loro attività.20131109_182243

Tuttavia, ha rimarcato l’ex presidente della Camera Luciano Violante, nel 1948 c’era, oltre alla speranza, il sentimento di unità tra le forze politiche dato dalla lotta antifascista, motivo per cui si è costruito con la costituzione un governo debole, che non potesse generare un nuovo “uomo forte” di sapore mussoliniano. Il rapporto tra Parlamento e governo era mediato dalla base rappresentativa dei partiti, che, all’epoca, avevano milioni di tesserati e coinvolgevano il 96% degli aventi diritto al voto. Adesso, invece, anche gli eredi dei partiti di massa hanno numeri di tessere comparabili a quelli di un service club, cosa che ne diminuisce oggettivamente la funzione di rappresentatività delle idee popolari.

I due hanno poi esposto una bozza di riforma costituzionale: «le premesse» ha annunciato Violante «sono essenzialmente tre: uno, c’è bisogno di scegliere i candidati; due, occorre introdurre la parità di genere; tre, deve esserci la capacità di formare un governo stabile». Le proposte che riescono a rispettare questi punto sono tutte accettabili, e ovviamente possono essere diverse tra loro. Il progetto che hanno in mente Violante e Quagliariello è di mantenere alcuni istituti, introdurne altri e modificarne altri ancora. Si vuole mantenere e allargare lo sbarramento del 5% per evitare l’entrata in parlamento di “micropartiti” che ricattano le maggioranze minacciando di togliere il loro sostegno perché fungono da ago della bilancia; si vuole introdurre la possibilità del voto doppio, ovvero di scegliere una seconda persona di sesso opposto al primo, con penalità di voto nullo se si scelgono due persone dello stesso sesso; si vuole modificare l’istituto parlamentare facendo in modo che la sola Camera dei deputati abbia l’ultima parola in termini di legge, prevalendo sul Senato, che il Presidente del Consiglio riceva la fiducia per la sua persona e non per il suo governo,che possa più chiaramente “licenziare” i ministri che non desidera più avere, che possa chiedere lo scioglimento delle Camere, le quali a loro volta possono sfiduciarlo solo se propongono un suo sostituto, norma questa mutuata dall’ordinamento tedesco. Inoltre Violante prefigura un ballottaggio tra i primi due candidati più votati se non si raggiunge il 50%+1 dei voti (condizione accaduta solo una volta nella storia italiana) in cui, come nelle elezioni dei comuni, si costringerebbero i vari partiti ad allearsi tra loro per “battere” uno dei due candidati.

Queste riforme, se attuate, darebbero maggior potere alla figura del presidente del consiglio, il quale però non dovrebbe poter essere eletto direttamente, in quanto altrimenti avrebbe, secondo Violante, una legittimazione superiore a quella del Capo dello Stato. Tuttavia, de facto è già così, poiché dal 1994 si assiste a una “deriva leaderistica” delle elezioni, in cui i candidati di punta che si presentano alle elezioni sono poi quelli che già in campagna elettorale si presentano come presidenti del consiglio in pectore. Allo stesso modo, è stato detto tra le righe da entrambi i rappresentanti istituzionali che questa riforma potrebbe essere fatta davvero poiché Pd e Pdl, con i montiani, hanno oltre i tre quarti dei voti e potrebbero realizzarla, escludendo così il movimento 5 stelle. L’esclusione di una forza che ha dimostrato attraverso le urne di saper conquistare un terzo dei voti degli italiani potrebbe però dare il via a momenti di frizione extraparlamentare che, dati i precedenti italiani degli anni di piombo, non sarebbe bene rischiare di ripetere.

Daniele Milazzo

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