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Riceviamo e pubblichiamo:

La musica che si rincorre fra i vicoli, la storia che sembra trasudare dai muri dei palazzi, l’artigianato di antichissima tradizione. Ma, soprattutto, il cibo: povero ma nobile, carico di suggestioni e di ricordi. Per Beppe Convertini – attore e presentatore televisivo – la terra delle sue radici, Martina Franca, è tutto questo. A Chiara Giacomelli – che lo ha intervistato per la puntata di Mixitalia in onda domenica 10 marzo, alle 9:35, su Rai1 – Convertini racconta la nobiltà e la complessità di questo paese. Il suo fondatore, Filippo I d’Angiò, l’aveva ideata proprio come città fortificata: cinta da mura difensive, quattro porte d’accesso, dodici torri quadrate e dodici tonde. Anna Marangi, storica, spiega a Fabrizio Rocca il perché di quel nome così particolare: si chiama Martina dal suo patrono San Martino e Franca perché D’Angiò, al fine di invogliare la popolazione a insediarsi, l’affrancò da tassazioni, concedendo ai martinesi vari privilegi. L’opulenza delle chiese e dei palazzi di Martina Franca non si devono però solo a Filippo d’ Angiò, ma anche ai Caracciolo, padroni per secoli di queste contrade: opera loro è, infatti, il palazzo ducale del ‘600, rimasto peraltro incompleto rispetto al progetto originale che prevedeva 300 stanze.

Arrivando davanti alle porte di Martina Franca, un cartello spiega che questa è anche “La città del Festival”. Perché la Fondazione Paolo Grassi (lo storico sovraintendente della Scala aveva un fortissimo legame con questo luogo) organizza da anni il Festival della Valle d’Itria, famoso in tutto il mondo per la qualità degli ospiti che accoglie. Il festival si svolge ogni anno per circa venti giorni, da metà luglio ai primi di agosto. Ma l’ attività del Festival e della Fondazione è pressoché ininterrotta: oltre a gestire la preziosa biblioteca con oltre 15.000 volumi donati da Paolo Grassi, si organizzano tutto l’anno corsi di perfezionamento, laboratori, rappresentazioni e concerti.

Nelle campagne di Martina Franca sopravvivono ancora più di 200 masserie e centinaia di trulli ancora intatti. Terra un tempo dedicata soprattutto al vino Bianco Locorotondo. Nei trulli si provvedeva appunto a vinificare sul posto, senza dover straportare le uve altrove. A sud ovest di Martina Franca, enormi boschi: 15 mila ettari di querce e macchia mediterranea, dove pascolano allo stato semibrado i robusti Cavalli Murgesi, miti e infaticabili, e i grandi asini di Martina Franca, un tempo esportati in tutto il mondo per la loro resistenza fisica. Oggi gli ulivi stanno lentamente prendendo il posto delle vigne: una trasformazione resa obbligatoria dal mercato, di fatto una piccola rivoluzione anche culturale. Che però non ha intaccato la tradizione culinaria: qui si produce ancora il celeberrimo Capocollo di Martina Franca, conosciuto e amato già ai tempi dei Borboni e oggi presidio Slow Food. E oltre ai rinomati latticini freschi, alla burrata, al purè di fave, alle orecchiette e al grano pestato con ragù di braciole, si cucina ancora il “cazzmarr” di antica tradizione: un grosso involtino fatto con interiora di agnello avvolto nella rete e legato con il budello.

Un pensiero su “Mixitalia, Beppe Convertini racconta Martina Franca alla Rai”
  1. Nelle nostra campagne si coltivava il Bianco Martina e non il Bianco Locororondo. Un errore da far correggere a Beppe se si fa in tempo.

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