Da Manfredonia a Brindisi, passando per Taranto, la fotografia del nostro territorio emersa dal dossier dell’associazione ambientalista non è positiva: a rischio la riconversione del sistema produttivo e la salute

Siamo circondati da aree che avrebbero bisogno di essere bonificate, pena l’impossibilità di riconversione del sistema produttivo italiano alla green economy e i gravi danni alla salute prodotti dalla forte concentrazione di inquinanti nell’ambiente e i ritardi negli interventi di bonifica. Queste le conclusioni della lettura del dossier presentato da Legambiente “Bonifiche dei siti inquinati: chimera o realtà?”. Parliamo di centomila ettari inquinati in 39 siti di interesse nazionale e seimila aree di interesse regionale in attesa di bonifica. Per rimanere nella nostra regione, Manfredonia, Brindisi e Taranto sono i siti di interesse nazionale individuati per le bonifiche. Tutti i dettagli nella nota stampa di Legambiente, incluse le parole di Francesco Tarantini, presidente di Legambiente Puglia, che di seguito riportiamo:

In Italia le superfici, terrestri e marine, individuate negli ultimi 15 anni come siti contaminati sono davvero rilevanti. I risultati ottenuti fino ad oggi per il raggiungimento della bonifica di queste aree invece, non sono purtroppo altrettanto rilevanti. Secondo il Programma nazionale di bonifica curato dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, il totale delle aree perimetrate come siti di interesse nazionale (SIN) è arrivato negli anni a circa 180mila ettari di superficie, scesi oggi a 100mila ettari, solo grazie alla derubricazione dello scorso anno di 18 siti da nazionali a regionali (i SIN sono quindi passati da 57 a 39).

Solo in 11 SIN è stato presentato il 100% dei piani di caratterizzazione previsti (è il primo step del processo di risanamento che definisce il tipo e la diffusione dell’inquinamento presente e che porta alla successiva progettazione degli interventi). Anche sui progetti di bonifica presentati e approvati emerge un forte ritardo: solo in 3 SIN è stato approvato il 100% dei progetti di bonifica previsti. In totale, sono solo 254 i progetti di bonifica di suoli o falde con decreto di approvazione, su migliaia di elaborati presentati.

Le bonifiche vanno a rilento, ma non il giro d’affari del risanamento ambientale che si aggirerebbe intorno ai 30 miliardi di euro. Dal 2001 al 2012 sono stati messi in campo 3,6 miliardi di euro di investimenti, tra soldi pubblici (1,9 miliardi di euro, pari al 52,5% del totale) e progetti approvati di iniziativa privata (1,7 miliardi di euro, pari al 47,5% del totale), con risultati concreti davvero inesistenti.

«Se non decollerà il settore delle bonifiche – commenta Francesco Tarantini, presidente di Legambiente Puglia – non riusciremo a riconvertire il sistema produttivo italiano alla green economy. In Puglia si deve accelerare il processo di risanamento ambientale risolvendo anche il problema delle risorse a partire da Taranto dove, a fronte di un’area SIN estremamente vasta, è necessario reperire ulteriori fondi. Situazione analoga anche a Brindisi, area in cui le bonifiche sono partite ma dove, oltre alla bonifica di Micorosa, è necessario puntare l’attenzione anche sulla falda della zona agricola compresa fra l’area industriale e Cerano, risultata fortemente contaminata oltre il 70%. Mentre per Manfredonia non solo resta ancora aperta la questione della discarica Marchesi ma bisognerebbe pure verificare gli effetti a mare della bonifica a terra effettuata con il lavaggio in continuo della falda».

In Puglia i siti di interesse nazionale (SIN) che necessitano di bonifiche sono stati individuati a Manfredonia, Brindisi e Taranto.

Manfredonia: Il 12 febbraio 1998 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo riconosce per il sito di Manfredonia “la presenza di impianti industriali in grado di danneggiare l’ambiente” violando l’art.8 della Convenzione Europea dove “ogni persona ha il diritto al rispetto della sua vita privata e famigliare e del suo domicilio”. L’Unione Europea ha quindi avviato, nello stesso anno, una procedura di infrazione contro l’Italia per la presenza delle discariche pubbliche e la conseguente contaminazione del sito. Nel 2008 è arrivata la condanna obbligando la Repubblica Italiana a prendere seri ed efficaci provvedimenti per assicurare che i rifiuti fossero smaltiti senza recare danni per la salute dell’uomo e per l’ambiente. I dati forniti dal Ministero dell’Ambiente indicano un avanzamento a marzo 2013 degli interventi di bonifica rispetto alle aree come riportato di seguito:  il 5% è stato messo in sicurezza di emergenza; il 100% dei piani di caratterizzazione sono stati presentati; l’81% dei risultati è stato presentato; il 79% dei progetti di bonifica è stato presentato; il 79% dei progetti di bonifica è stato approvato.

Brindisi: Nel territorio di Brindisi, dichiarato “Sito di interesse Nazionale (SIN) per la bonifica, il Ministero dell’Ambiente ha perimetrato l’intera area industriale, obbligando gli insediati alla caratterizzazione chimica delle matrici ambientali suolo, sottosuolo e falda freatica. Tale perimetrazione riporta tutta l’area industriale gestita dal Consorzio ASI e la parte di terreno agricolo compreso fra il polo industriale di Nord e la centrale termoelettrica Enel di Cerano, posta a sud dell’area industriale; tale centrale è collegata al porto di Brindisi attraverso un nastro trasportatore del carbone e dell’olio combustibile (un tempo anche orimulsion) lungo circa 8 chilometri. Anche le aree poste a mare e costituenti tutto il porto di Brindisi (seni di ponente e levante, porto medio e porto esterno) oltre che un’area di mare posta a sud e fino a Cerano, per un’estensione di 3 miglia marine, rientrano nella perimetrazione. Il Ministero dell’Ambiente ha ritenuto opportuno inserire anche la zona agricola interclusa in quanto soggetta a “ricadute” di inquinanti prodotti dal sito industriale a nord e dalla centrale a sud; tale inserimento ha permesso di verificare la presenza di un intenso inquinamento sia del suolo e sottosuolo sia della sottostante falda freatica.

Taranto: Nel territorio di Taranto insiste una notevole concentrazione di insediamenti industriali ad alto impatto ambientale: l’Ilva, la raffineria ENI con il suo deposito (riserve strategiche nazionali, 135 serbatoi fuori terra per una capacità di 2.000.000 m3), le due centrali termoelettriche ex Edison passate all’Ilva (circa 1100 MW), la centrale Enipower (87 MW), la Cementir (900mila tonnellate all’anno di cemento), due inceneritori, la discarica Italcave (complessivi 6 milioni di m3), le discariche dell’Ilva (tra cui una “2C”), la base navale militare tra le maggiori del Mediterraneo, l’arsenale militare ed altre piccole e medie aziende. Le forti criticità ambientali hanno comportato l’inserimento di Taranto tra le aree ad elevato rischio ambientale e tra i siti di interesse nazionale (SIN) per le bonifiche (con legge 426/98 e superficie approvata con D.M. 10/01/2000). Un contesto emergenziale confermato dalle perizie predisposte dalla Procura nel 2012 nonché da vari studi ed indagini, tra i quali “Sentieri”, MISA e Epiair. Il sequestro dell’area a caldo dell’Ilva disposto dalla Procura nel 2012 ha indotto il Governo non solo al riesame dell’AIA ma anche a stipulare con urgenza, il 26 luglio 2012, un protocollo di intesa con Regione, enti locali ed Autorità Portuale. I fondi stanziati ammontano a 336,7 milioni di euro (di cui 329,7 mln di parte pubblica e 7,2 mln di parte privata, TCT S.p.A.): 119 milioni destinati alle bonifiche, 187 ad interventi portuali e 30 al rilancio dell’economia su basi di sostenibilità ambientale. Lo stanziamento, peraltro composto per lo più da capitolati di spesa già previsti e non ancora corrisposti, è insufficiente rispetto agli obiettivi prefissati, senza totale copertura economica e con la quota della Regione Puglia in ultimo bloccata dal patto di stabilità. Il protocollo d’intesa è stato recepito da un decreto legge approvato in via definitiva dal Parlamento con legge n.171 del 04/10/2012. Norma con cui Taranto viene dichiarata “area di crisi industriale complessa”, veicolo per sottoscrivere accordi di programma inerenti progetti di riconversione e riqualificazione industriale.

Dal dossier emerge chiaramente anche il rischio di illegalità e di infiltrazione ecomafiosa nel settore e non solo nelle regioni del sud Italia. Il coinvolgimento del centro-nord come luogo di smaltimento illegale dei rifiuti speciali e pericolosi emerge da molti anni nello scacchiere dei traffici illeciti lo stesso vale anche per le bonifiche. In base alle elaborazione di Legambiente dal 2002 ad oggi sono state 19 le indagini su smaltimenti illegali di rifiuti derivanti dalla bonifica di siti inquinati (pari all’8,5% del totale delle indagini concluse contro i trafficanti di rifiuti), sono state emesse 150 ordinanze di custodia cautelare, sono state denunciate 550 persone e coinvolte 105 aziende. Queste indagini sono state concluse da 17 Procure della Repubblica di diverse parti d’Italia, fra cui quella di Bari.

«Anche il mondo industriale – conclude Tarantini – deve fare la sua parte mettendo in campo azioni concrete, bonificando in tempi non geologici i suoli e le falde inquinate, con adeguate risorse economiche ed umane, per risanare le gravi distorsioni di uno sviluppo corsaro e distruttivo, che ha reso inutilizzabili intere aree del Paese, creando piuttosto quell’auspicabile equilibrio tra ambiente, salute e lavoro che può aprire un prospettiva concreta di lavoro e di sviluppo».

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