Tra i 53 rinvii a giudizio per l’inchiesta c’è anche quello del governatore Nichi Vendola, che ha subito dichiarato di essere amareggiato ma fiducioso nell’operato della giustizia.

E’ notizia di oggi, ampiamente battuta da tutte le agenzie di stampa e dalle testate giornalistiche, che nell’ambito dell’inchiesta condotta dalla procura della Repubblica di Taranto sull’Ilva sono state emesse 53 richieste di rinvio a giudizio. Tra queste spiccano quelle per il governatore della Puglia, Nichi Vendola, per il sindaco di Taranto, Ezio Stefano, e per i proprietari dell’Ilva, Emilio, Fabio e Nicola Riva. A Vendola è contestata la concussione verso il direttore generale dell’Arpa Puglia, Giorgio Assennato, al sindaco Stefano, invece, l’omissione di atti d’ufficio.

Il Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola ha voluto rilasciare in merito una dichiarazione che riportiamo di seguito:

 “Nonostante il dolore e la tristezza che provo in questo momento, non intendo mutare lo stile con cui ho reagito, sempre, a iniziative giudiziarie che mi chiamavano in causa. Persino quando ci si sente feriti e umiliati da una grande ingiustizia, non bisogna mai perdere fiducia nella forza della giustizia.

Per decenni a Taranto nessuno ha visto niente e troppi hanno taciuto. Io no. Per decenni gli inquinatori hanno comprato il silenzio e il consenso politico, sociale e dei media. Con regali, finanziamenti, forniture, subappalti e favori. Io no. I miei collaboratori no.

Infatti non siamo accusati di corruzione. Siamo accusati di essere stati compiacenti, a titolo gratuito, nei confronti del grande siderurgico. Accusati in un processo in cui tutti i dati del disastro ambientale sono il frutto del nostro lavoro e della ostinata volontà della mia Amministrazione di radiografare e documentare l’inquinamento industriale nel capoluogo ionico. Noi, insieme alle agenzie della Regione Puglia, abbiamo fornito le prove che hanno scoperchiato la realtà. Noi per la prima volta nelle istituzioni abbiamo aperto i dossier su diossina e altri veleni – e lo abbiamo fatto anche sulla spinta di un movimento nato dalla ribellione al destino di morte della città. Noi abbiamo cercato le evidenze scientifiche sul male sputato dall’Ilva e abbiamo varato leggi e regolamenti che sono oggi all’avanguardia della legislazione ambientale.

Certo, contemporaneamente abbiamo difeso la fabbrica e i lavoratori. Se questo è un reato sono colpevole. Ma abbiamo agito nel rispetto di quei principi costituzionali che ci prescrivono di contemperare beni e diritti fondamentali per i cittadini, come salute e lavoro. Questo è il preciso dovere di chi governa, anche affrontandone le responsabilità e le conseguenze più dolorose”.

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