“Capisco le famiglie. Hanno il mio cordoglio. Ma non colpevolizziamo solo l’Ilva”. Detto da un lavoratore che all’Ilva ha subìto un incidente e da quindici anni è sulla sedia a rotelle.

Michele Carrieri, martinese, ha scritto un commento ieri a un nostro articolo riguardante l’incidente mortale all’Ilva di ieri stesso.

Siamo andati a intervistarlo.

Michele Carrieri, 47 anni compiuti il 20 febbraio, venne assunto da un’impresa appaltatrice dell’Ilva il 2 marzo 1998. Esattamente tre mesi dopo, il 2 giugno, era al lavoro, Carrieri. La festa nazionale, quell’anno come in altri anni di quella fase storica, non veniva considerata come giorno festivo. Si lavorava.

Intorno all’una e mezza del giorno, Carrieri venne chiamato a dare una mano ad altri operai che dovevano realizzare un’infiltrazione di cemento armato all’interno di un pilastro. Salì sull’impalcatura, ;Michele Carrieri. Ma non c’era il parapetto, era stato tolto e non rimesso a posto, proprio quel giorno. Il lavoratore cadde. Un volo di otto metri.

“Mi portarono, non sull’ambulanza, ma su un furgone, al pronto soccorso dello stabilimento”. Da lì il trasferimento in ospedale. Al “Santissima Annunziata” la diagnosi fu agghiacciante: due vertebre, la sesta e la settima, in frantumi. La vita di Michele Carrieri sarebbe stata sulla sedia a rotelle.

E stava anche per andare peggio, perché c’erano delle complicazion a gravare sulle condizioni del paziente, che dopo due giorni in reparto finì in rianimazione e venne dato per spacciato da un medico.

“Ma un infermiere che ci consigliò di portarlo via da lì, gli ha salvato la vita” dice la moglie. “Non ricordo chi fosse quell’infermiere, ma vorrei incontrarlo, per ringraziarlo”. Lo dice da quindici anni. Chissà se adesso non si faccia vivo, quell’infermiere.

Grazie al datore di lavoro che mise immediatamente a disposizione un aereo, Michele Carrieri fu trasferito al “Niguarda” di Milano. Non rischiava la vita, dissero i medici lombardi. Fino al 17 giugno rimase ricoverato, in coma, ma riuscì perfino a vedere le partite dei mondiali di calcio. La situazione stava migliorando, ma la prospettiva sarebbe stata sempre la stessa: sedia a rotelle.

La moglie di Michele si fece carico, fin dal primo momento e con assoluta convinzione, di quel cambio di vita che avrebbe riguardato lei, i figli, il marito. Da oltre quattordici anni, da quel 17 dicembre 1998 che rappresentò il ritorno a casa a Martina Franca, è così. Sedia a rotelle e vita nuova, con le difficoltà del caso. Ma anche con delle capacità diverse, giocoforza sviluppate: l’uso del computer, per esempio.

Nel frattempo, il processo, le testimonianze, un testimone che dopo dieci anni si è ricordato di parlare delle scarse condizioni di sicurezza in quel 2 giugno 1998.

E oggi, il declino dell’Ilva, altri incidenti anche mortali, una situazione sociale gravissima, tutto ciò visto con l’occhio di un cittadino particolarmente attento, causa la sua personale esperienza. Quando sente, come in questi giorni, che è morto qualcuno all’Ilva, che pensa Michele Carrieri? “Penso che alla famiglia del lavoratore morto e al ferito con la sua famiglia, devono andare la vicinanza e il cordoglio Io posso capirli più di chiunque altro. Devono farsi forza, continuare a vivere. L’Ilva: si parla solo dell’Ilva, ma quanti incidenti sul lavoro, meno pubblicizzati, accadono? E la situazione sociale, secondo me, è roba che ha una origine nei decenni scorsi: i prepensionamenti di una ventina di anni fa al siderurgico, tanta gente che è in pensione e che, in molti casi, toglie prospettive lavorative a chi ha bisogno di lavorare Un pensionato può costare di meno a uno che deve ingaggiare lavoratori. Si vada a controllare queste situazioni, se si vuol dare qualche risposta alla crisi sociale e alla guerra fra poveri di Taranto e del territorio. Non prendiamocela solo con l’Ilva”.

Detto da uno che, all’Ilva, stava per morire di lavoro.

Ma non vuole limitarsi a raccontare dell’incidente, Carrieri  “Quando venni ricoverato a Milano c’era una febbre alta che non voleva saperne di passare. Non si riusciva a capire cosa fosse. Però sentivo un fastidio al naso”. Giorni di esami, di tac, di dubbi, di paure Poi dalla tac spunta fuori una realtà allucinante: nel naso era rimasto un sondino, 12 centimetri di lunghezza, che al “Santissima Annunziata” era stato infilato in una narice di Carrieri, per permettegli di respirare. Ma nessun, poi, quel sondino aveva tolto più, fino all’esame tomografico che rivelò quella presenza, rischiosa per la vita stessa del paziente. In realtà, oltre al sondino, nel naso e nel canale respiratorio era rimasto, come “coda” del sondino, un pezzo di ovatta lungo cinque centimetri. Ancora pochi giorni e Carrieri, salvatosi da un volo di otto metri, sarebbe morto per una disattenzione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Continuando a usare questo sito, siete d'accordo con l'uso dei cookie. maggiori informazioni

The cookie settings on this website are set to "allow cookies" to give you the best browsing experience possible. If you continue to use this website without changing your cookie settings or you click "Accept" below then you are consenting to this.

Close